“Era una graziosa signora, con un cervello romantico […] era come quelle minuscole scatole, una dentro l’altra che vengono dall’oriente misterioso, e benché tu ne scopra molte ce n’è sempre ancora un’altra; e sulla bocca gentilmente ironica c’era un bacio che Wendy non poteva mai prendere, benché fosse là, perfettamente visibile all’angolo sinistro. Il signor Darling […] ottenne tutto da lei, meno l’ultima scatola interna e il bacio”.
(J.M. Barrie, Peter Pan e Wendy, in J.M. Barrie, Peter Pan, traduzione di Milli Dandolo, Einaudi, Torino, 2015, pag. 73).
Cosa rappresenta l’ultima scatola interna ed il bacio che la signora Darling, la madre di Wendy, colei che sebbene non possa più lasciarsi andare alla fantasia per volare via con Peter Pan, anche una volta diventata madre è capace di capire il suo mondo?
L’ultima scatola e il bacio simboleggiano la creatività femminile, la natura profonda e selvaggia della donna. Un archetipo al quale connettersi per essere completamente integre, autonome e di sostegno per gli altri.
Una donna consapevole dell’esistenza di un legame primordiale con una natura provvidenziale a cui affidarsi, conscia dei cicli vitali, rappresentati dalla luna: è nel divenire infatti che si esplica la vita, solo crescendo e invecchiando, si può lasciar fluire la vita.
La signora Darling lo sa, come lo sa ogni madre. Ma è anche consapevole del fatto che prima di diventar madre bisogna evolversi come donna, accettando non solo i cambiamenti fisici ma anche riconoscendo le diverse nature che albergano nella sua indole più profonda.
Riflessioni queste, nate durante il viaggio da Bologna a Roma, sul Freccia Rossa che mi riportava a casa dalla Bologna Children’s Book Fair, conclusasi da pochi giorni.
Tra le mani un albo illustrato di grande formato in lingua spagnola:
Madre, entre el sol y la noche, testo di Stéphane Servant, illustrazioni di Emmanuelle Houdart, traduzione dal francese di Luisa Antolin Villota, edito da Libros del Zorro Rojo.
A far scattare in me il desiderio di averlo, sono state le illustrazioni imponenti dai colori accesi di Emmanuelle Houdart che elegantemente si dispiegano su due pagine, ricchissime di dettagli, e la presenza dell’elemento naturale che con forza, dolcezza e complessità invade letteralmente la scena. Una Natura dirompente che dall’esterno sembra valicare i confini corporei per animare l’interiorità della protagonista: la Madre.
Una Madre che appare come una figura mitologica nella sua natura metamorfica, ben resa dalle maestose illustrazioni e dal testo delicato e poetico sussurrato da una bambina, sua figlia.
Tutto ha inizio nel risguardo iniziale: in un nido di ramoscelli intrecciati , la madre racconta a sua figlia una storia, quella che si ripete uguale da migliaia di anni, di generazione in generazione, di madre in figlia.
“Mi madre tiene el corazón entre el sol y la noche”.
“Mia madre ha il cuore tra il sole e la notte”.
Ogni storia è un viaggio, e pertanto comporta partenze e ritorni, separazioni e riunioni, anche quando queste riguardano soltanto il cuore, conteso tra il sole e la notte, la luce e il buio, la dolcezza e l’angoscia.
Ed è così che inizia la storia, la verità che la figlia deve sapere.
Con un’illustrazione che mostra la Madre in partenza, armata di ferri, gomitoli di lana e una spada, come ad intrecciare i fili di un’esistenza da tessere e pronta a battersi contro le difficoltà che incontrerà fuori e dentro di se.
La lana rosa e verde, così come i rocchetti di filo sono già stati usati per cucire le vesti della bambina, creando un legame tangibile e indissolubile.
Lo sguardo chino su sua figlia, carico di parole rassicuranti, sembra dire “devo andare”.
Si percepisce l’esigenza di allontanarsi per inseguire la propria natura, i propri istinti.
La bambina sembra ascoltare e comprendere, mentre riceve una bambola in dono, offre a sua volta una lanterna affinché rischiari e illumini quel cammino, quello stesso fuoco che nel libro La strada di Comarc McCarthy, il padre afferma che saprà salvarli:
“Ce la caveremo, vero, papà?
Sí. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sí. Perché noi portiamo il fuoco”.
(Comarc McCarthy, La strada, traduzione di Martina Testa, Einaudi, Torino, 2010).
La partenza della mamma le incute paura e tristezza, sensazioni che affiorano sul suo viso condensandosi in una lacrima che ha il colore dei suoi occhi, di quelli di sua madre, dell’acqua sorgente di vita.
Intorno a loro, la natura, a sinistra colorata e fiorita come la vita già vissuta, a destra ancora tutta da dipingere.
“Resplandeciente como la luna. Sombrío como el ala de un cuervo”.
“Luminosa come la luna. Cupa come l’ala di un corvo”
è la natura della donna che nonostante sia diventata una madre amorevole e protettiva non può sottrarsi alla sua essenza, a volte misteriosa e sfuggente, a volte inquieta e selvaggia.
Una donna che non può sfuggire alle molte dee che si fronteggiano e avvicendano all’interno di se.
“Mi madre tiene el amor a flor de piel. Un jardín entero”.
La madre è un giardino intero in cui fiorisce l’amore, ma dove crescono anche i cardi e altre piante selvatiche. Bisogna imparare l’arte del giardinaggio per rifugiarsi e godere di tanta bellezza ma anche per evitare di graffiarsi e farsi male.
Intelligente e forte, la Madre può assumere ora le sembianze di una volpe ora quelle di una lupa. Può dispiegare le ali per librarsi in aria e innalzare un canto di gioia al cielo, come gli uccelli nelle selve più oscure, memori di legami arcaici indistruttibili. Ma può anche ripiegare le ali per star dentro ad una triste e angusta gabbia.
Al di là dei ruoli stereotipati che siamo abituati ad attribuire ad una madre, questo albo ci restituisce una Madre a tutto tondo, con la stessa forza e carica evocativa proprio delle fiabe, eloquenti e liberatorie.
Soltanto connettendosi con i modelli archetipici che la influenzano dall’interno, la donna può sottrarsi alle inevitabili dicotomie che da sempre la imprigionano.
Ma non solo, mostrandosi a sua figlia, integralmente e nella sua complessità, potrà trasmettergli la possibilità di vivere più pienamente in quell’universo molteplice è variegato che è la psiche femminile:
luminosa come la luna, oscura come le ali di un corvo.
Fuggire per ritrovarsi, abitare se stesse per appartenersi e donarsi. Raccontare che nessuna partenza è per sempre, che ogni separazione conserva il ricordo di un legame, al quale ricongiungersi ogni volta interamente, come Donna e come Madre.
“No tengas miedo, me dice mi madre. Cuando tú naciste me tatué en el corazón un canto de pájaro, tu primer grito, una estrella de rocío. Tu cara adorada”.
Non avere paura…
Dice la Madre alla figlia, e con quest’albo illustrato dove il rapporto dialettico tra parole e immagini è fondamentale per capire pienamente il messaggio ivi contenuto, potrete farlo anche voi.
Si mormora infatti che i libro sia di imminente pubblicazione in Italia per opera dell’editore Logos, che ha già pubblicato altre opere illustrate da Emmanuelle Houdart.
Buona Domenica, Alessandra.