Bambole Giapponesi: un AsSaggio indimenticabile.

Da quando ho letto il libro Bambole Giapponesi, di Rumer Godden, pubblicato da Bompiani quest’anno, qualcosa che si era assopito da un po’, si è smosso dentro di me.

Si tratta di una piccola perla pubblicata dalla casa editrice, da poco rilevata dal Gruppo Giunti, in una collana che gli calza a pennello, “AsSaggi.”

 

Bambole Giapponesi, di Rumer Godden traduzione di Marta Barone, Bompiani, 2017.

 

Il libro fa infatti venir voglia di tante cose, per primo di conoscere meglio la storia di Nona, una bambina di otto anni rimasta orfana, costretta a tornare in Inghilterra dall’India, paese che amava profondamente e che aveva sempre sentito come la sua CASA.

Di sapere di più delle due bambole giapponesi, simili ma diverse, Felicità e Fiore che dopo uno scomodo viaggio, arrivano tra le mani di Nona, come dono di una zia.

Ma anche di sapere di più sull’autrice, sulle tradizioni giapponesi e in particolare sulla storia e i riti che riguardano le bambole e i giardini, e su come si costruisce una casa adatta a loro.

Si tratta di un libro che uscì in Inghilterra nel 1961, illustrato da Jean Primrose e pubblicato da Macmillan.

 

Miss Happiness and Miss Flower di Rumer Godden, 1961, Illustrato da Jean Primrose.

 

L’autrice inglese, Rumer Godden, passò un’infanzia spensierata e gran parte della sua vita in INDIA, dove aprì una scuola di danza per bambini inglesi e indiani in cui lavorò per vent’anni con la sorella. Da adulta tornò a vivere in Inghilterra scrivendo opere teatrali, poesie e romanzi per adulti e ragazzi.

L’interesse per la letteratura per bambini la portò a scrivere molti libri per loro, e anche una biografia di Hans Christian Andersen, e a compilare un’edizione per bambini delle poesie di Emily Dickinson e a tradurre due raccolte di versi del poeta francese Carmen Bernos de Gastold.

E’ morta nel 1998.

 

 

 

 

A Letter to the World: Poems for Young Readers, Rumor Godden, Prudence Seward, Macmillan, 1968.

 

In italiano la Bompiani ha pubblicato Narciso nero, Il fiume e La bambina selvaggia.

Il titolo originale del libro è Miss Happiness and Miss Flower.

Bello, vero?

Io l’adoro e anche il libro.

Tanto.

E’ la storia come vi dicevo di Nona che nonostante la gentilezza degli zii che l’accolgono premurosamente nella propria casa, fa fatica ad ambientarsi e a convivere con i cugini, in particolare con Belinda, che si dimostra fin da subito gelosa della nuova arrivata e dal temperamento impulsivo.

Nona poteva ben capire come si sentissero le bambole, sradicate dal loro paese, il Giappone, senza una CASA accogliente.

“É strano e freddo. Lo sento dalla scatola, ” disse Fiore, e gridò:

“Nessuno ci capirà, nessuno saprà cosa vogliamo. Oh, nessuno ci capirà mai, ancora una volta.”

Motivo per il quale la bambina decide di costruire e arredare una CASA per bambole giapponesi.

Ma come? Dove trovare le istruzioni?

Con quali materiali? Con l’aiuto di chi?

A questo proposito i libri giocheranno un posto di primo piano.

“Nona non era sicura ma, come sapete, leggeva sempre, e forse in una storia che parlava di bambini giapponesi o in  un libro di geografia le era capitato di leggere…”

Ma non solo.

Ci vorrà un maschietto che non si spaventa di fare una cosa reputata a quei tempi da “femmine”, come costruire una casa delle bambole, un libraio che conosce il valore terapeutico dei libri e del gioco, e la complicità degli adulti.

 

Miss Happiness and Miss Flower di Rumor Godden, 2006, Illustrato da Gary Blythe.

 

Certo che sembrerebbe strana l’idea di costruire una storia su delle bambole così “strambe”,  che “non si siedono sulle sedie” e che vengono da lontano, da un altro paese con una propria storia e tradizioni, come la Festa delle Bambole, se non fosse che nel 1926, più di 12000 bambole occidentali vennero spedite dai bambini americani ai bambini giapponesi, come segno di amicizia. E, in segno di riconoscenza, 58 bambole ambasciatrici, vestite in bellissimi kimoni, arrivarono in America.

 

Shirley Temple con le bambole giapponesi, 1935.

 

In Giappone la tradizione legata alle bambole è antichissima e affascinante,  il 3 marzo di ogni anno si celebra l’Hinamatsuri, la Festa delle bambole o delle bambine. Le O-hina, bambole che indossano un kimono di seta, vengono posizionate su una piattaforma speciale a gradini.
In passato si pensava che queste fossero in grado di assorbire malattie e spiriti maligni e che attraverso una cerimonia detta hina-nagashi ( bambola fluttuante) venissero lasciate andare sul letto di un fiume, affinché portassero via ogni male e negatività e le bambine potessero crescere sane e belle.

 

Hina Matsuri 雛祭 or 雛祭り
Doll Festival, Girls’ Festival

Potete trovare nell’articolo che allego qui un bellissimo approfondimento sulle bambole giapponesi e sulla storia del libro.
https://kirakiraehon.com/2017/05/14/bambole-giapponesi/

Una bella storia dalla prosa garbata, chiara e scorrevole, di cui non voglio volontariamente svelare molto, che vi farà venire voglia di sapere tutto sul Giappone, sulla Festa delle Stelle, su come costruire una casa delle bambole e di leggere libri di viaggio.

Vi dirò solo che se come Nona, vi siete sentiti almeno una volta nella vita: perduti, soli, abbandonati e costretti a ricominciare tutto daccapo, se vi siete sentiti diversi, chiusi in un silenzio inverosimile rispetto all’energia chiassosa del mondo, questa storia  fa per voi.

Alle bambole, prima di essere incartate e donate, nessuno domanda cosa desiderano, e ai bambini? Sembra domandarsi l’autrice che scrive:

“Vorrei che non fossimo venute qui, disse Fiore.

Felicità sospirò e disse: “Nessuno ce l’ha chiesto.”

Anche ai bambini nessuno lo chiede. Nessuno aveva chiesto a Nona Fell se voleva essere mandata dall’India a vivere con suo zio e sua zia in Inghilterra.

Tutti le avevano detto che le sarebbe piaciuto, ma Nona diceva: “Non mi piace per niente.”

 

P.s. Resisterò alla voglia di costruire e arredare una casa delle bambole giapponesi come quella che hanno preso vita grazie ai tanti ragazzi citati alla fine del libro da Rumer Godden, dopo aver letto il libro e seguito i suoi suggerimenti?

Per ora sono motivatissima, e voi?

Buona lettura e buon divertimento,

Alessandra.

 

Il regalo della Madre Terra

Nessuna voce giunge più all’uomo da pietre, piante o animali, né l’uomo si rivolge a essi sicuro di venir ascoltato.
Il suo contatto con la natura è perduto e con esso è venuta meno quella profonda energia emotiva che questo contatto simbolico sprigionava.
( Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Editori Associati, 1991).

In estate torno ad abitare la terra riscoprendo di appartenere a qualcosa che soltanto di sfuggita riesco a percepire, la natura mi rapisce e mi abbandono a una profonda sensazione di meraviglia e estasi, una specie di felicità mista alla tristezza.
Non esistono più il tempo e lo spazio e il quotidiano diventa un miraggio lontano.
Distante dai rumori del mondo ritorno a me stessa, in armonia con ogni cosa intorno a me, in comunione con piante e animali.
La Terra si fa musica e poesia, il corpo e l’anima trovano finalmente pace.

In questo stato d’animo, di puro incanto e turbamento la vado a cercare…

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Il regalo della gigantessa, testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceño, Buk Buk, Trapani, 2015.

In un angolo del mondo, vive una donna, una gigantessa.
Nessuno sa esattamente dove, ma che esista non c’è dubbio.

Quando è triste e si lamenta “gli ululati del vento scuotono i boschi”, quando piange “piove a dirotto, i fiumi crescono e i mari si agitano in tempesta”.
Quando la gigantessa sbadiglia, soffia “un vento lieve” che riscalda i cuori.
La sua allegria contagia vecchi e bambini.
Quando ha sonno, il mondo intero si addormenta con lei, e si abbandona ai sogni più strani per risvegliarsi all’alba con la sua leggera carezza.

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Il regalo della gigantessa, testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceno, Buk Buk, Trapani, 2015.

Chi l’ha ascoltata dice che ha una voce che racchiude in sé tutti i suoni del mondo.

C’è musica, brusio, scorrere delle acque, soffio di tramontana, brontolio di un temporale, scoppio di un vulcano, mareggiata, canto degli uccelli e silenzio.

E per andarla a cercare, ogni essere umano e animale si mette in cammino.

Senza che gli sia chiesto nulla, ogni cosa elargisce, come un dono prezioso.

La gigantessa accoglie e ascolta tutti, prestando attenzioni ai più fragili, a coloro che non parlano.

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Il regalo della gigantessa, testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceno, Buk Buk, Trapani, 2015.

 

Ha una vista potente che supera le distanze e i vestiti spessi. Quelli che la trovano, li accoglie e li culla tra le braccia.
Per gli altri, nasconde parole e canzoni sotto le pietre, in un cespuglio, nel centro di una grotta, in fondo al mare.

 

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Il regalo della gigantessa, testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceno, Buk Buk, Trapani, 2015.

Con un testo delicato e poetico, accompagnato da illustrazioni lievi ed evocative, Guia Risari e Beatriz Martín Tereceno, ci accompagnano verso la natura, facendoci sentire tutta la sua bellezza, la sua forza e il suo potere.
Offrendoci la possibilità di essere consolati  con un’opera che trae la sua energia creativa dall’osservazione del mistero della natura.

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Il regalo della gigantessa, testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceño,  Buk Buk, Trapani, 2015.

 

Sogni con la coda, impronte sul cuore.

Se i cani potessero parlare …
Quante volte lo avete pensato o detto?
Almeno ogni volta che vi siete stupiti della loro empatia e dell’intensitá e forza del loro linguaggio non verbale.
In “Sogni con la coda”, Chiara Lorenzoni con i testi e MariaLuce Possentini con le illustrazioni, realizzano il sogno di molti amanti dei cani, quello di dar voce ai loro sogni, ai loro desideri.

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“Sogni con la coda”, testi di Chiara Lorenzoni, illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini, collana i Lapislazzuli, Edizioni Lapis, Roma, 2016.
Fin dalla copertina sappiamo che ovunque nel mondo c’è un cane che sogna, e se scientificamente sappiamo che i suoi sogni sono in bianco e nero, sappiamo anche che il  rosso della coperta sulla quale si abbandona, è il colore di quell’Amore che ognuno di loro desidera.
Fin dal risguardo l’intento dell’albo è chiaro e limpido, raccontare per sensibilizzare l’umanità  al rispetto di chi non ha voce, ma che ha lasciato  e promette di lasciar sempre un’impronta sul cuore.

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Penso a Chiara, l’autrice che a 33 anni ha lasciato la sua città natale Padova per trasferirsi nel sud, a Lecce, mi sembra di vederla in mezzo a tutti quegli scatoloni, i sogni le aspettative, volgersi verso il suo Lambru ( è così che lo chiamavi vero?) e dire “Andrà  tutto bene, vedrai” o a Sonia, l’illustratrice che al ritorno da ogni suo viaggio viene accolta ogni volta  da due code allegre e festanti.
Si dice che non esista un paradiso per i cani, si racconta che Roald Dahl, già scettico per natura, iniziò a dubitare della religione cristiana a causa di quello che la sua guida spirituale, Geoffrey Fisher, ex arcivescovo di Canterbury, gli disse a proposito.
Il suo biografo, Donald Sturrock, racconta che il giorno di Natale del 1970, dopo aver deposto alcune corone di agrifoglio sulla tomba di sua figlia Olivia, morta nove anni prima, Dahl spiegò alle due figlie più piccole, Ophelia e Lucy che non sapeva perché Dio aveva permesso che la loro sorella morisse, ma anche che il religioso gli aveva assicurato che Rowley, il loro cane adorato, non l’avrebbe raggiunta in paradiso.
“Volevo chiedergli come faceva a essere così sicuro che le altre creature non ricevessero il nostro stesso trattamento speciale, ma la piega di disapprovazione che aveva preso la sua bocca mi fermò. Me ne stavo seduto lì a chiedermi se quel grandioso e famoso uomo di chiesa sapesse davvero di cosa parlasse e se sapesse davvero qualcosa di Dio o del paradiso e, se no, allora chi ne sapeva qualcosa? E da allora in poi, mie care, mi sa che ho cominciato a chiedermi se esistesse davvero un Dio o meno”.
(“Roald Dahl, il cantastorie”, Donald Sturrock, traduzione di Barbara Sonego, Odoya, Bologna, 2010, pagine 300-301).
Io non lo so se esiste un paradiso per cani ma so che quando un cane ci lascia, le sue impronte si posano sul nostro cuore lasciando non solo ricordi ma un testamento che affonda le radici nell’antichità , in quel patto d’alleanza che nacque la prima volta che l’uomo incontrò il cane e che si rinnova ogni volta che s’incontrano di nuovo: un patto d’amore e di fedeltà, per cui quel cane in copertina rappresenta tutti i cani del mondo.
Tutti coloro che hanno un cane vorranno aggiungere la sua storia a quest’albo, dove pagina dopo pagina si susseguono tanti diversi cani, ognuno con una sua storia.

C’è Nina che serena, stretta tra i suoi fratelli, fa “sogni cuccioli, dolci, tiepidi e profumati di latte” e c’è Rollo che nostante la vita agiata di notte sogna “covoni in cui infilarsi, pozze di fango in cui rotolarsi, lucertole da annusare e un asino col naso bianco per amico”.

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C’è Teo che è stato abbandonato e non ha più niente, “nemmeno più un nome” quel nome che sogna, “nuovo di zecca, che profumi di casa”, c’è Aramis che nonostante la vecchiaia sogna ancora “di inseguire una pigna lanciata lontano, di scavare sotto l’albero in giardino, di correre sulla sabbia abbaiando alle onde…” ma soprattutto di far “scappare il postino”.
Mi sembra di sentirvi dire, anche il mio fa così , e poi e poi…vedervi accorciare il guinzaglio, avvicinarvi al vostro cane come a proteggerlo, davanti a una cane grande e grosso, dall’aspetto che incute timore, da un cane come Zak, che “guarda fuori dal cancello, un punto lontano. Abbaia, abbaia, abbaia. Abbaia sempre. Qualcuno dice che è un cane cattivo” e invece “Zak sogna di smettere di avere paura”.

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E poi c’è Frida, che proprio come Pepe, il mio Labrador, rimane molte ore a casa da sola. Frida si annoia e va a “caccia di calzini”, non importa quali, “Frida adora i calzini, le piacciono tutti”  in fondo cosa c’è di più confortevole di un morbido cuscino che racchiude il calore e l’odore del tuo migliore amico, per poggiare la testa e sognare la vita “dopo le cinque del pomeriggio”?

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Lasciò a voi scoprire gli altri protagonisti di questo eloquentissimo albo,  entrare in punta di piedi nei nei loro sogni e  pensarne altri.
Perché qui accanto a me c’è un cane che non dorme e che non trova pace fino a quando non vado a sedermi accanto a lui, per potersi finalmente assopire e sognare quei sogni che ogni cane fa, mangiare, correre, e giocare ma soprattutto stare “insieme per sempre”al suo migliore amico.

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Prima di salutarvi, vi consiglio di osservare le code dei cani, una parte essenziale del loro corpo, utile per svolgere determinati lavori ma soprattutto per esprimersi, un misto di linguaggio istintivo e segnali intenzionali.
Noterete che non sempre è semplice interpretarne i segnali, soprattutto a causa dei differenti tipi di coda, ci sono quelle più ricurve difficili da leggere perché hanno movimenti più limitati ma ci sono anche quelle più semplici da capire grazie all’attaccatura molto larga.
Ma una coda allegra è facile da riconoscere per qualsiasi padrone, e se saprete ascoltare i sogni dei vostri cani, se avrete capito cosa conta veramente per loro, allora quando quelle code gireranno vorticosamente, nelle vostre orecchie sentirete risuonare le note dell’Inno alla Gioia o della Marcia di Radetzky e saprete che quel paradiso esiste, in cielo e in terra.

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Un immenso grazie a Chiara Lorenzoni e Sonia MariaLuce Possentini per aver dato voce ai sogni impalpabili dei nostri amici a quattro zampe, con poesia, delicatezza e grazia, la stessa che certe impronte lasciano nel cuore.

Di Madre in figlia: le dee dentro la donna

“Era una graziosa signora, con un cervello romantico […] era come quelle minuscole scatole, una dentro l’altra che vengono dall’oriente misterioso, e benché tu ne scopra molte ce n’è sempre ancora un’altra; e sulla bocca gentilmente ironica c’era un bacio che Wendy non poteva mai prendere, benché fosse là, perfettamente visibile all’angolo sinistro. Il signor Darling […] ottenne tutto da lei, meno l’ultima scatola interna e il bacio”.

(J.M. Barrie, Peter Pan e Wendy, in J.M. Barrie, Peter Pan, traduzione di Milli Dandolo, Einaudi, Torino, 2015, pag. 73).

Cosa rappresenta l’ultima scatola interna ed il bacio che la signora Darling, la madre di Wendy, colei che sebbene non possa più lasciarsi andare alla fantasia per volare via con Peter Pan, anche una volta diventata madre è capace di capire il suo mondo?

L’ultima scatola e il bacio simboleggiano la creatività femminile, la natura profonda e selvaggia della donna. Un archetipo al quale connettersi per essere completamente integre, autonome e di sostegno per gli altri.

Una donna consapevole dell’esistenza di un legame primordiale con una natura provvidenziale a cui affidarsi, conscia dei cicli vitali, rappresentati dalla luna: è nel divenire infatti che si esplica la vita, solo crescendo e invecchiando, si può lasciar fluire la vita.

La signora Darling lo sa, come lo sa ogni madre. Ma è anche consapevole del fatto che prima di diventar madre bisogna evolversi come donna, accettando non solo  i cambiamenti fisici ma anche riconoscendo le diverse nature che albergano nella sua indole più profonda.

Riflessioni queste, nate durante il viaggio da Bologna a Roma, sul Freccia Rossa che mi riportava a casa dalla Bologna Children’s Book Fair, conclusasi da pochi giorni.

Tra le mani un albo illustrato di grande formato in lingua spagnola:

 

Madre

 

Madre, entre el sol y la noche, testo di Stéphane Servant, illustrazioni di Emmanuelle Houdart, traduzione dal francese di Luisa Antolin Villota, edito da Libros del Zorro Rojo.

A far scattare in me il desiderio di averlo, sono state le illustrazioni imponenti dai colori accesi di Emmanuelle Houdart che elegantemente si dispiegano su due pagine, ricchissime di dettagli, e la presenza dell’elemento naturale che con forza, dolcezza e complessità invade letteralmente la scena. Una Natura dirompente che dall’esterno sembra valicare i confini corporei per animare l’interiorità della protagonista: la Madre.

Una Madre che appare come una figura mitologica nella sua natura metamorfica, ben resa dalle maestose illustrazioni e dal testo delicato e poetico sussurrato da una bambina, sua figlia.

Tutto ha inizio nel risguardo iniziale: in un nido di ramoscelli intrecciati , la madre racconta  a sua figlia una storia, quella che si ripete uguale da migliaia di anni, di generazione in generazione, di madre in figlia.

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“Mi madre tiene el corazón entre el sol y la noche”.

“Mia madre ha il cuore tra il sole e la notte”.

Ogni storia è un viaggio, e pertanto comporta partenze e ritorni, separazioni e riunioni, anche quando queste riguardano soltanto il cuore, conteso tra il sole e la notte, la luce e il buio, la dolcezza e l’angoscia.

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Ed è così che inizia la storia, la verità che la figlia deve sapere.

Con un’illustrazione che mostra la Madre in partenza, armata di ferri, gomitoli di lana e una spada, come ad intrecciare i fili di un’esistenza da tessere e pronta a battersi contro le difficoltà che incontrerà fuori e dentro di se.

La lana rosa e verde, così come i rocchetti di filo sono già stati usati per cucire le vesti della bambina, creando un legame tangibile e indissolubile.

Lo sguardo chino su sua figlia, carico di parole rassicuranti, sembra dire “devo andare”.

Si percepisce l’esigenza di allontanarsi per inseguire la propria natura, i propri istinti.

La bambina sembra ascoltare e comprendere, mentre riceve una bambola in dono, offre a sua volta una lanterna affinché rischiari e illumini quel cammino, quello stesso fuoco che nel libro La strada di Comarc McCarthy, il padre afferma che saprà salvarli:

“Ce la caveremo, vero, papà?
Sí. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sí. Perché noi portiamo il fuoco”.

(Comarc McCarthy, La strada, traduzione di Martina Testa, Einaudi, Torino, 2010).

La partenza della mamma le incute paura e tristezza, sensazioni che affiorano sul suo viso condensandosi in una lacrima che ha il colore dei suoi occhi, di quelli di sua  madre, dell’acqua sorgente di vita.

 Intorno a loro, la natura, a sinistra colorata e fiorita come la vita già vissuta, a destra ancora tutta da dipingere.

“Resplandeciente como la luna. Sombrío como el ala de un cuervo”.

“Luminosa come la luna. Cupa come l’ala di un corvo”

è la natura della donna che nonostante sia diventata una madre amorevole e protettiva non può sottrarsi alla sua essenza, a volte misteriosa e sfuggente, a volte inquieta e selvaggia.

Una donna che non può sfuggire alle molte dee che si fronteggiano e avvicendano all’interno di se.

“Mi madre tiene el amor a flor de piel. Un jardín entero”.

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La madre è un giardino intero in cui fiorisce l’amore, ma dove crescono anche i cardi e altre piante selvatiche. Bisogna imparare l’arte del giardinaggio per rifugiarsi e godere di tanta bellezza ma anche per evitare di graffiarsi e farsi male.

Intelligente e forte, la Madre può assumere ora le sembianze di una volpe ora quelle di una lupa. Può dispiegare le ali per librarsi in aria e innalzare un canto di gioia al cielo, come gli uccelli nelle selve più oscure, memori di legami arcaici indistruttibili. Ma può anche ripiegare le ali per star dentro ad una triste e angusta gabbia.

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Al di là dei ruoli stereotipati che siamo abituati ad attribuire ad una madre, questo albo ci restituisce una Madre a tutto tondo, con la stessa forza e carica evocativa proprio delle fiabe, eloquenti e liberatorie.

Soltanto connettendosi con i modelli archetipici che la influenzano dall’interno, la donna può sottrarsi alle inevitabili dicotomie che da sempre la imprigionano.

Ma non solo, mostrandosi a sua figlia, integralmente e nella sua complessità, potrà trasmettergli la possibilità di vivere più pienamente in quell’universo molteplice è variegato che è la psiche femminile:

luminosa come la luna, oscura come le ali di un corvo.

Fuggire per ritrovarsi, abitare se stesse per appartenersi e donarsi. Raccontare che nessuna partenza è per sempre, che ogni separazione conserva il ricordo di un legame, al quale ricongiungersi ogni volta interamente, come Donna e come Madre.

“No tengas miedo, me dice mi madre. Cuando tú naciste me tatué en el corazón un canto de pájaro, tu primer grito, una estrella de rocío. Tu cara adorada”.

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Non avere paura… 

Dice la Madre alla figlia, e con quest’albo illustrato dove il rapporto dialettico tra parole e immagini  è fondamentale per capire pienamente il messaggio ivi contenuto, potrete farlo anche voi.

Si mormora infatti che i libro sia di imminente pubblicazione in Italia per opera dell’editore Logos, che ha già pubblicato altre opere illustrate da Emmanuelle Houdart.

Buona Domenica, Alessandra.

 

 

 

 

 

Danzare la vita

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“Nel profondo della foresta di Gombe c’è una spettacolare cascata.

Talvolta, mentre gli scimpanzé si avvicinano e il rombo dell’acqua che cade si fa più intenso, il loro passo si affretta, i peli si rizzano dall’eccitazione. Quando raggiungono il corso d’acqua mettono in atto scene magnifiche, alzandosi in piedi, ondeggiando ritmicamente da un piede all’altro, sbattendo le zampe nell’acqua bassa e in corsa, raccogliendo e lanciando grosse pietre. A volte salgono sulle liane che penzolano dall’alto e fanno l’altalena fra gli spruzzi dell’acqua che cade. Questa “danza della cascata” può durare dieci o quindici minuti, dopodiché può accadere che uno scimpanzé si sieda su una roccia, con gli occhi che seguono il percorso dell’acqua.

Che cos’è, quest’acqua?

Continua ad arrivare, continua ad allontanarsi, eppure c’è sempre.

Probabilmente gli scimpanzé provano un’emozione simile a una meraviglia o ad un riverente rispetto.

Se hanno un linguaggio parlato, se possono discutere delle emozioni che innescano queste magnifiche scene, ciò significa che hanno una religione animistica “primitiva”.

La cascata è sempre stato il luogo più spirituale di Gombe, e ora sappiamo che era considerata un luogo sacro dal popolo che vi viveva un tempo, un luogo in cui gli uomini-medicina eseguivano cerimonie una volta all’anno.

Mi chiedo se non abbiano mai osservato, come rapiti, le danze selvagge degli scimpanzé”.

Jane Goodall

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Illustrazione tratta da “Il regalo della gigantessa” testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceño, Buk Buk, 2015.

Rivelazioni

“Il libro vero parla sempre al momento giusto.
Lo inventa lui, il momento giusto; con il colore della parola, con la singolarità della battuta, con il piacere della scrittura”.

“Ogni lettura importante reca con sé i segni di una relazione straordinaria, mai pacifica, mista di inquietudine e di ebbrezza, come quando un canto si innalza d’improvviso e trova la sua armonia. Il libro allora diventa una creatura, che hai sempre a fianco e che porta nella tua vita i suoi affetti, le sue ragioni a interpellare i tuoi affetti, le tue ragioni”.

Ezio Raimondi, La voce dei libri, a cura di Paolo Ferratini, Collana “Intersezioni”, Il Mulino, Bologna, 2012.

Raccoglimento

Ci sono giorni in cui siamo attraversati da una tale energia che proprio non riusciamo a star fermi e a smettere di fare, e ce ne sono altri in cui vorremmo soltanto metterci in un angolo e limitarci ad esistere.

Ritirarci lontani dal tumulto della vita quotidiana, raccoglierci e riprendere contatto con noi stessi.

Quando si sente l’esigenza di ritrovarsi è normale cercare luoghi ed oggetti che facilitino il raccoglimento.

Un luogo di preghiera, un’angolo in mezzo alla natura, una stanza, possono farci sentire a proprio agio, e trasmettere la calma e la serenità necessarie per nutrire lo spirito.

Ma a volte, a sollevarci dal momento contingente e a portarci in uno spazio più adeguato, può bastare anche solo un libro, un albo illustrato.

Sono libri speciali e rari, difficilmente condivisibili, proprio per il loro essere così intimi e soggettivi.

Il primo di cui vi parlerò sarà “Il regalo della gigantessa” testo di Guia Risari, illustrazioni di Beatriz Martín Terceño, edito da Buk Buk, nel 2015, nella collana Albi d’autore.

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Visto che un albo che mi ha dato molto vorrei introdurlo lentamente, creando la giusta atmosfera, e magari lasciandovi il tempo di consultarlo prima e “sentirlo” in solitudine.

Vi interesserà sapere che l’albo in oggetto, in seno alle manifestazioni del “Festival Biblico: Custodire il Creato, coltivare l’Umano. Lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15)”, svoltosi a Vicenza nel mese di giungo del 2015, ha ispirato una mostra d’illustrazione, curata da Monica Monachesi per la Fondazione Stepan Zavrel di Sàrmede, intitolata: “I doni della Gigantessa: i custodi del creato siamo noi”.

Se volete potete leggere il racconto e le riflessioni di Giovanna Zoboli sull’esposizione nel Blog dei Topipittori, nel post “Nel giardino delle meraviglie: I doni della gigantessa”.

Un caro saluto, a presto.

Alessandra

 

 

 

 

Agire Consapevolmente

 

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“Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”.
Antoine De Saint-Exupéry, Cittadella

Illustrazione tratta dall’albo illustrato:
La zattera, Olivier de Solminnihac, Stéphane Poulin, traduzione di Paolo Cesari, Orecchio Acerbo, 2015.

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